Poco
tempo fa, con la scomparsa di Yang Huangyi, a 92 anni, si pensava
perduto per sempre l’antico linguaggio segreto delle donne cinesi: il
Nu-Shu.
Yang
era infatti l’ultima depositaria dei segreti di questa scrittura,
insegnatale dalla madre. E invece, grazie al lavoro meticoloso di
ricerca e trascrizione di un gruppo di donne dello Hunan (una regione
meridionale della Cina in cui pare sia nato questo linguaggio di genere,
l’unico al mondo) non solo si sono recuperati i 2800 ideogrammi della
lingua, ma si sono tradotti interi volumi. Per la prima volta i “libri
del terzo giorno”, cioè i libri segretissimi che le compagne regalavano
ad una donna quando era costretta a sposarsi, vedono la luce delle
librerie e incontrano la commozione delle donne moderne.
Ricchi
di poesie, canzoni, pensieri, questi libri tessuti e ricamati a mano,
nascevano per consolare la sposa nel momento in cui, a tre giorni dal
matrimonio, doveva definitivamente lasciare la famiglia d’origine e il
paese natio. Libri che in qualche modo dovevano curare la solitudine di
queste nuove mogli, così poco considerate, in quanto femmine, così poco
amate per la loro presunta “inferiorità”.
Un antico detto cinese dice: “Davanti ad un pozzo non si muore di sete. Quando si è con le sorelle non c’è posto per la disperazione”.
E infatti, in un tempo non troppo lontano, in cui le donne si sposavano
contro la propria volontà, e venivano allevate coi piedi fasciati per
essere più “graziose” (non riuscendo a camminare senza appoggiarsi a
qualcuno!) l’amicizia tra donne era il bene più prezioso. Tra donne ci
si incontrava per lavorare, tessere, cantare, allevare i figli. Per
farsi quelle confidenze che i mariti maschilisti non tolleravano e che
quindi finivano nei diari segreti di Nu-Shu.
Paradossalmente,
se in passato questa lingua è stata praticata dalle donne più povere e
maltrattate, le analfabete, le concubine, le bambine a cui veniva
proibito di imparare a parlare perché non potessero poi esprimere le
loro emozioni, oggi sono le signore di classe ad avere il tempo di
imparare questa nuova lingua per utilizzarla poi con le amiche nei loro
eleganti salotti.
La
scuola appena nata, rigorosamente femminile, per apprendere l’antico
linguaggio è frequentata da bambine di livello sociale alto, che seguono
i corsi come fossero un nuovo hobby d’elite.
Allo
scopo è stato stampato il primo dizionario Nu-shu e sono state tradotte
molte lettere scritte in forma poetica, dal contenuto struggente, se si
pensa che erano l’unico modo delle donne per sfogare la malinconia, la
tristezza, che regnava nelle loro vite. Curioso il fatto che non
avessero neppure bisogno di nascondersi quando scrivevano, perché ai
loro uomini non interessava minimamente sapere cosa attraversasse la
mente, o il cuore, delle donne che sposavano esclusivamente per fare
figli e avere in casa domestiche ubbidienti e non pagate. Cosa potevano scrivere
di interessante sui quei quaderni che spesso si portavano nella tomba o
lasciavano in eredità alle figlie, quelle piccole femmine, se un antico
proverbio dell’imperialismo cinese così recitava: “…meglio avere un
cane che una figlia…” ?
E
poi i caratteri del nuovo alfabeto venivano spesso scambiato per dei
piccoli disegni; a differenza degli ideogrammi cinesi molto squadrati,
era infatti formato da tratti sinuosi e curvilinei, così aggraziati che a
volte venivano ricamati sugli abiti, per comunicare messaggi che gli
uomini non potevano interpretare.
Solo
negli anni ’50, e per motivi politici, i servizi segreti cinesi si
interessarono a questo linguaggio, immaginando le donne che lo
utilizzavano come spie al servizio dei paesi occidentali. Con grande
scalpore raccolsero diversi materiali e li diedero da tradurre ai
migliori linguisti del paese, ma non ottennero nulla. Nessun uomo fu mai
in grado di decifrare l’antico alfabeto. Ci vollero decenni per
arrivare alla verità, e all’ultima depositaria del segreto: Yang Huanyi.
Solo grazie a lei il velo fu finalmente sollevato, sui 7000 caratteri
che compongono il Nu-Shu ma soprattutto su un intero mondo femminile,
salvato in extremis dall’oblio.
Per saperne di più si può visionare il documentario della regista canadese Yang Yuequing, intitolato “ Nu-shu: a hidden language of women in China”, in cui si racconta la storia di alcune donne che si prodigarono in mille modi perché questo linguaggio non venisse perso.
Il Nu-Shu ha anche ispirato un romanzo di Alexander Alma, dal titolo “Le parole segrete di Jin-Shei” e
narra di misterioso regno dell’antica Cina in cui dominavano le donne,
capaci di esprimersi con un linguaggio segreto che si tramandavano di
madre in figlia.
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